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Il ciliegio di Rinaldo

Le Storie

Sinossi

Fin da piccolo Emanuele è affascinato dalla natura. Trascorre l’infanzia a leggere e rileggere manuali di uccelli, pesci e a scorrazzare libero per la campagna monferrina. Per quel ragazzino il legame con la terra diventa una sorta di richiamo interiore. Rinaldo è un vecchio agricoltore che appartiene a quella stirpe di figure titaniche e infaticabili di un mondo agricolo che va scomparendo. Un uomo che, dietro una grave sordità e un fare impetuoso e vivace, nasconde una finezza di pensiero rara e una capacità straordinaria di saper ‘leggere’ la natura, interpretandone i segni. L’incontro tra Emanuele e Rinaldo avviene circa quindici anni fa e nel tempo si trasforma in una solida e bellissima amicizia. Emanuele diventa suo allievo, autista, aiutante, apprendista e interprete. Rinaldo si rivela una figura chiave nella vita di Emanuele. E’ colui che stringe ancor di più e sigilla il rapporto del ragazzo col quel mondo che è stato la sua vita, contribuendo in modo determinante a cambiare un futuro che sembrava già scritto. Al momento della scelta universitaria Emanuele si trova a un bivio: medicina, scelta sempre sostenuta da amici, parenti e genitori, entrambi medici, o agraria, suggello alla sua vocazione. In quel momento difficile, l’incoraggiamento e il sostegno di Rinaldo lo aiutano a comprendere che non deve mettere da parte il suo sogno per paura di deludere genitori e amici. Questo è il racconto dell’ultimo tratto di strada insieme. L’ armonica blues di Emanuele, l’altra sua grande passione, accompagna il tramonto di Rinaldo e la consegna di un’eredità morale, spirituale, ma anche materiale, fatta di gesti e rituali antichi, che solo “in fioè acme ti” (un figlio come te) è in grado di ricevere.

Ho incontrato questa storia quasi per caso. Qualche tempo fa ricevo una mail da un giovane di 23 anni che vive a Rosignano Monferrato e studia alla facoltà di Agraria a Torino. Emanuele ha visto alcuni miei lavori precedenti: Memo interviste a anziani del monferrato sul valore della memoria e Monferrato di giovani e storie una docu-serie , i cui protagonisti, giovani agricoltori monferrini, si presentano come testimoni di una rivoluzione verde in arrivo nella nostra società.

Anche Emanuele desidera raccontare la sua personale ‘rivoluzione’. Mi scrive. Il racconto di questa amicizia fuori dal comune con Rinaldo, un vecchio agricoltore così apparentemente lontano da lui per età (85 anni) e estrazione sociale, tocca corde profonde. Un “richiamo” che forse trova la sua origine nella mia biografia personale.

Da ragazzo accompagnavo mio padre, commerciante ambulante, nelle sue visite ai clienti, per lo più contadini delle Langhe Astigiane. Quei viaggi hanno rappresentato per me una tappa importante di crescita in cui ho imparato a conoscere realmente mio padre e ho scoperto affascinanti figure di “arcaici” contadini che si esprimevano solo nella loro lingua “terrosa” (come Pavese definiva ne “La casa in collina” il dialetto langarolo) per raccontare episodi di vita, raccolti andati male, figli operai che lasciavano la campagna per la città. Accanto a questa sorta di “risonanza emotiva”, i principali temi che sottendono questa storia: formazione, amicizia, il rapporto con la natura, l’attesa della morte si legano a esperienze, interessi e ricerche personali.

La formazione dei giovani, l’autorealizzazione hanno rappresentato un fulcro della mia attività professionale. Da molti anni ormai collaboro con le scuole del territorio su progetti di educazione/produzione alla comunicazione audiovisiva. E il fine di questi progetti non è solo la conoscenza del linguaggio e dei codici del mezzo filmico, quanto il suo porsi al servizio degli studenti nella scoperta del proprio talento, della ricerca profonda di sè; cosa molto difficile, se non impossibile in un “normale” percorso scolastico. Amos Maccanti l’operatore/DOP del “Ciliegio” è uno dei tanti giovani che ha scoperto la sua vocazione proprio grazie alla partecipazione a uno di questi laboratori di cinema. Quando frequentava la quarta superiore ha collaborato attivamente alla produzione di un cortometraggio e da quel momento non si è più separato dalla macchina da presa. La nostra collaborazione mi ha quindi portato a una riflessione: come in un processo osmotico, il racconto del “Ciliegio” rappresenta anche uno scambio di idee e esperienze. Assume la forma di una profonda sintonia, di una sorta di specchiamento tra chi filma: Alessandro e Amos, una generazione di differenza, e di chi sta davanti alla mdp: Rinaldo e Emanuele, il vecchio maestro e il giovane allievo.

Un aspetto che mi ha profondamente colpito di questa singolare amicizia intergenerazionale è il rapporto di grande stima e fiducia del giovane nei confronti del vecchio. Ciò mi ha portato ad approfondire e a riflettere su come la società contemporanea si pone nei confronti dell’ “inverno della vita”. Ai tempi di Platone, in cui “conoscere significava ricordare”, il vecchio nell’accumulo del suo ricordo è ricco di conoscenza.

Nel mondo antico infatti la saggezza della vecchiaia faceva del vecchio che, molto aveva visto, il depositario del sapere. In tempi più recenti Jung descriveva la sua vecchiaia come un “orizzonte positivo dove si compie quel processo di individuazione che consente a ciascuno di noi di diventare ciò che in fondo siamo”.

Oggi, nell’età della tecnica il vecchio è considerato un incompetente, non all’altezza dei tempi, quindi inutile. Si pensa che scienza e tecnologia possano vicariare con maggiore efficacia il ruolo del vecchio come depositario di informazioni. Internet rende la saggezza senile superflua e inadeguata. Queste considerazioni confliggono con il carattere e l’autorevolezza del vecchio protagonista della nostra storia. Quel “va a battere sulla pianola” (sul pc, cerca su internet) rivolto al giovane Emanuele ha il sapore della sfida, in cui egli però gioca un ruolo attivo, sicuro del fatto suo.

Nel vecchio Rinaldo non ritroviamo il “rudere” in attesa della morte, ma l’uomo da ammirare, colui che con la sua forza di volontà sfida la morte, l’ineluttabilità del destino. “La mia voglia di vivere è un daimon ardente che talvolta mi rende maledettamente difficile la coscienza di essere mortale” scriveva Jung in una lettera durante la sua vecchiaia.

La faccia è il primo segnale da cui prende le mosse l’etica di una società. Emanuele questo lo sa e per questo “onora la faccia del vecchio” (Levitico 19.32). La loro storia è un simbolo. Ora più che mai.

E un simbolo è anche il suo rapporto con la natura. Il progresso incalzante è corresponsabile della situazione di grave compromissione dell’ambiente in cui l’uomo vive. Rinaldo ha assistito in prima persona allo stravolgimento della vita e del lavoro nei campi: da lavoro prevalentemente manuale e marginale praticato da gente poco scolarizzata ad attività oggetto di una vera e propria rivoluzione verde che ci ricorda dell’importanza della natura e dei contadini, custodi resistenti e resilienti di un sapere che rischia di andare perduto se non ascoltato.

Un tempo proverbi, motti, previsioni meteorologiche tradizionali nei vari mesi dell’anno erano conoscenze condivise e tramandate che dettavano i ritmi dei lavori di semina e raccolta nelle attività agresti. Ora a Rinaldo pare di vivere in un altro mondo in cui lavorare manualmente, con lentezza, “secondo natura” è qualcosa di anacronistico e obsoleto, come i suoi attrezzi di campagna consumati.

Nonostante questo il vecchio non va contro il progresso e la modernità che consentono di proiettarci con speranza al futuro, ci trasmette invece la consapevolezza che questa dovrebbe essere al servizio della natura, senza aggredirla e violentarla, infatti “Se una pianta la accarezzi lei ti parla…la natura è in contatto con l’uomo” e ancora “La natura non fallisce e se la rispetti non ti tradisce”. E questo sentimento di “riconciliazione”, questa sintonia con l’ambiente è stato forse uno dei fattori che ha stretto ancora di più l’amicizia tra il giovane e il vecchio, insieme alla voglia di conoscere e fare tesoro del sapere immateriale che quest’uomo ha accumulato con una vita di lavoro ed esperienza diretta, la voglia di padroneggiare con la stessa sicurezza quei gesti senza tempo come la semina e l’innesto che Rinaldo ripete da una vita e che trasmettono quel senso di sacralità della terra su cui dovremmo tornare ad ‘inginocchiarci’. (Ema) Queste riflessioni hanno accompagnato il mio viaggio alla scoperta dei due protagonisti.

Ho incontrato Emanuele e Rinaldo nei luoghi in cui vivono, lavorano e studiano. Ma un ‘innamoramento’ per tramutarsi in una sintonia di intenti e di fiducia reciproca deve prevedere un periodo di conoscenza. E’ seguito quindi un periodo di incontri e conversazioni in cui insieme a Emanuele abbiamo messo a fuoco la struttura narrativa. Il documentario narrativo è la forma cinematografica che mi appassiona di più.

Significa entrare nella vita delle persone e costruire insieme la fiducia, la stima con il tempo e gli incontri. E’ un viaggio paziente e sorprendente alla scoperta di situazioni, insomma un’avventura umana che mi affascina e in cui anche i protagonisti diventano parte attiva: collaboratori e autori. Quando arriviamo in prossimità della fase di produzione, si manifesta la grave malattia di Rinaldo. Sembra la fine del progetto, ma la malattia rallenta. Pare recedere. Passano mesi, Rinaldo si riprende miracolosamente. Decidiamo di partire con la produzione, ma la storia a questo punto ha assunto un volto inaspettato. Siamo nella Primavera 2017.


Alessandro Azzarito
Autore e regista